lunedì 30 gennaio 2012

Fava (Vicia faba)


Fava (Vicia faba L.o Faba vulgaris Moench)

Cos’è

La fava è una pianta annuale eretta, rigida, glabra. Radice a fittone ben sviluppata con robuste ramificazioni laterali, le più piccole delle quali sono ricche di noduli lobati. Steli robusti, quadrangolari, vuoti, con uno o più rami basali. Foglie alterne, paripennate con 2-6 foglioline, di colore grigio verde. Infiorescenze a racemo ascellare corto, con 1-6 fiori, calice campanulato, glabro o quasi, corolla con vessillo ben sviluppato. Deboli rigature longitudinali marrone, ali oblunghe bianche o violacee segnate da una macchia marrone scuro o nera. Ovario con 2-5 ovuli. Baccello allu ngato, cilindrico, od appiattito, rigonfio sopra i semi, pubescente o glabro, di lunghezza variabile con 2 o 5 semi in genere. I semi sono variabili nella dimensione e nella forma da oblunghi ad obovati, globosi o compressi, di colore marrone scuro, marrone,rossastro, verde, violetto intenso, nero.
In relazione alla grandezza del seme, in Vicia faba L. vengono distinte quattro varietà botaniche o sottospecie:

  • paugyuga con semi molto piccoli, di origine indiana, non è coltivata
  • minor Beck, detta comunemente favino, con peso dei 1000 semi inferiore a 700 grammi e baccello clavato e corto; è utilizzata come foraggio o sovescio
  • equina Pers., detta comunemente favetta, con peso dei 1000 semi compreso tra 700 e 1000 grammi e baccello clavato e allungato; è utilizzata come foraggera
  • major Harz. con semi grossi; il peso dei 1000 semi è superiore a 1000 grammi, baccello lungo 15–25 cm, penduli e appiattiti che contenente 5-10 semi. Appartengono a questa sottospecie le cultivar da orto.

Ciclo biologico

Il ciclo biologico della fava ha una durata assai variabile in rapporto al tipo, all’epoca di semina ed alle condizioni ambientali, da un minimo di 3 mesi (Sudan, Canada) ad 11 mesi (Europa nord-ovest).
La germinazione raggiunge l’ottimo a 20°C, si manifesta dapprima con il rigonfiamento del seme e la fuoriuscita della radichetta, verso le quali vengono mobilitate le riserve. La piumetta comincia svilupparsi qualche giorno dopo. La germinazione è ipogea, poiché i cotiledoni rimangono sotto terra e solo la piumetta emerge dal terreno.
In Sicilia, con semina autunnale intorno a metà novembre ed in pianura.
Le epoche di semina progressivamente posticipate comportano un inizio anticipato della fioritura, con corrispondente contrazione della relativa durata, oltre che dell’intero ciclo, il quale può completarsi in poco più di 100 giorni.
La fava non tollera il freddo intenso e la siccità prolungata, per cui è pianta autunnale al sud e primaverile al nord. Il freddo arresta lo sviluppo e limita l’accrescimento e la ramificazione, il limite vitale si colloca a –6 °C. 
La fava presenta esigenze idriche di rilievo dalla fioritura alla formazione dei baccelli. La siccità determina una fioritura anticipata e breve, con conseguenti scarso sviluppo delle piante, marurazione affrettata ed intuibili effetti negativi sulle rese.
La fava reagisce fortemente sia alla temperatura che alla durata del fotoperiodo.
Sembra comunque, che le differenti varietà si comportino in maniera sostanzialmente diversa rispetto a questi fattori e che quelle primaverili siano meno sensibili alle variazioni dei fattori temperatura e luminosità.

Basse temperature (2-4 °C) durante la germinazione inducono la vernalizzazione, per cui le piante mostrano una fioritura più precoce.
In ogni caso bisogna considerare che nei confronti della vernalizzazione è stato rilevato un comportamento differenziato delle varietà.
La fava richiede terreni fertili, ben provvisti di calce e adeguatamente provvisti di acqua. Cresce bene nei terreni argillosi, pesanti, che non lasciano però ristagnare a lungo l’acqua.
In base alle asportazioni, la fava è esigente in primo luogo di azoto e potassio, cuin seguono per importanza fosforo, calcio e magnesio.
Considerata la diffusa povertà dei terreni, il fosforo è l’elemento che condiziona la produzione. Il fosforo risulta favorevole alla moltiplicazione ed all’attività dei batteri simbiotici e quindi alla fissazione dell’azoto. Azione analoga esplicherebbe il calcio, soprattutto nei terreni carenti. I terreni per la fava dovrebbero, contenere buone riserve di amteria organica dalle quali le piante possano trarre quella parte dell’azoto necessaria fino a quando esse, sviluppati i noduli in simbiosi con i batteri, divengono capaci di utilizzare l’azoto atmosferico.

 Coltivazione in biologico - In questo caso la fava viene collocata in un rotazione triennale.La semina viene effettuata (in Sicilia) nella seconda decade di novembre o nella prima decade di dicembre in modo da sfuggire all’attacco delle Orobanche. Si prepara il letto di semina effettuando una tilleratura. La semina, è effettuata a righe con distanza tra le file di 30-50 cm e sulla fila di 4-8 cm; utilizzando la seminatrice da grano o la seminatrice pneumatica e la quantità di seme impiegata è pari a 150-200 kg/ha.

Per contenere le erbe infestanti si fa ricorso ad un erpice strigliatore nel caso in cui avremo da lavorare in un altopiano, oppure ricorreremo alla sarchiatrice nel caso ci trovassimo a dover lavorare un terreno pianeggiante. La prima operazione sarà effettuata quando la pianta ha emesso la quarta foglia ed ha una altezza di circa 8-10 cm. Questa lavorazione ha un doppio effetto e cioè quello di liberare il terreno dalle
infestanti e quello di permettere la rincalzatura ovvero l’accumulo di terra al piede della pianta che ha la funzione di stimolare l’emissione di nuovi germogli che sono sempre più fruttiferi.
Una seconda lavorazione è effettuata in prossimità della fioritura ed ha la funzione di mantenere le scorte di acqua presenti nel terreno.
In maggio potrà essere effettuata la cimatura e cioè l’eliminazione dell’apice vegetativo, che ha la funzione di diminuire la suscettibilità della pianta nei confronti degli attacchi di afidi e favorisce la fruttificazione.
La raccolta è effettuata a giugno luglio con le stesse modalità illustrate per la coltura in convenzionale.

Cultivar e miglioramento genetico

Nella fava il sistema d’impollinazione è intermedio tra ala completa autogamia e la completa allogamia. Sono segnalate frequenze di impollinazione incrociata, determinata da api e bombi, fino al 70 % , ma in genere si attesta sul 30-40 %.
Le piante ibride si autofecondano più agevolmente delle piante derivanti da autofecondazione, sembra che questo derivi dalla maggiore produzione di polline prodotto che dalle strutture fiorali.
Il miglioramento genetico può essere rivolto alla costituzione di popolazioni prevalentemente autogame o prevalentemente allogame. Le prime sono da preferire nel caso si desiderino forme precoci, nelle quali la stabilità produttiva potrebbe essere assicurata dall’indipendenza dagli insetti impollinatori, scarsi o assenti quando le condizioni ambientali sono ancora poco favorevoli; nelle seconde, possono essere sfruttati gli eventuali effetti eterotici, per la costituzione di tipi a fioritura tardiva, a favore dei quali può efficacemente esplicarsi l’azione degli insetti pronubi.
Tra gli obiettivi del miglioramento genetico emerge in primo luogo l’aumento della capacità produttiva oltre che della relativa stabilità; il miglioramento del valore biologico delle proteine, attraverso la riduzione dei fattori antinutrizionali, quali quelli responsabili del favismo, gli inibitori della tripsina, gli acidi tannici, la riduzione del tempo di cottura, ecc.
Per la produzione di granella secca si richiedono invece tipi a legume eretto, indeiscente, con inserzione elevata del primo nodo fruttifero soprattutto per rendere agevole la raccolta meccanica.
Tra le vecchie varietà locali di V. faba major ricordiamo:
  • la “Baggiana”,
  • “San Pantaleo”
  • “violetta di Malta”,
  • “Nera di Ascoli”,
  • Fava di Zollino del Salento leccese  varietà Major Harz (nome
locale “cuccìa”) riconosciuto prodotto tipico con D.M. del 10/07/2006
  • Fava cottoia di Monreale;
  • Fava bianca di Valledolmo;
  • Fava larga di Leonforte;
  • Fava cottoia modicana;
  • Favino di Valledolmo;
  • Favino di Susafia (Valledolmo).
La fava è una pianta miglioratrice, che assolve in modo eccellente il ruolo delle piante da rinnovo nei terreni argillosi e pesanti, in sostituzione del maggese nudo e comunque in tutte quelle condizioni in cui non sia facile attuare colture alternative di equivalente significato agronomico. Il posto più comune della fava nella rotazione è in precessione ai cereali, frumento e orzo in particolare.
Un intervallo più o meno ampio tra successive colture di fava può essere imposto dalla diffusione di parassiti specifici, quali nematodi o di malattie fungine da Sclerotinia trifolium, Rhizoctonia e Fusarium spp., o di emiparassiti (piante parzialmente parassite) quali Orobanche crenata.
La fava da granella non è di norma consociata, suole esserlo invece quella da foraggio, con l’orzo, l’avena, la veccia, il trifoglio alessandrino.
Nell’agricoltura convenzionale, per la sua classica funzione da rinnovo, sarchiata, e per lo sviluppo del suo robusto e profondo apparato radicale, la fava si avvantaggia di una accurata preparazione del terreno ed in particolare di un’aratura profonda.
La semina può essere effettuata a spaglio, a postarelle ed a righe. La semina a spaglio si adotta solamente per le colture da foraggio o da sovescio.
La semina a righe, comunemente adottata, comporta file distanti da 30 a 70 cm, con distanze variabili sulla fila in rapporto all’investimento consigliato. Che varia da 20 a 50 piante/m2 per i tipi a semi grossi, da 50-60 e fino ad 80 per quelli a semi piccoli. Le quantità di seme consigliate vengono riportate in 150-200 kg/ha.
Con l’aumentare dell’investimento unitario, si innalza l’inserzione del primo nodo fertile, aumenta l’altezza delle piante, si riduce la ramificazione delle stesse, dimniuisce il numero di fiori e di baccelli ed il peso dei semi per pianta; aumentano, tuttavia, entro certo limiti dell’investimento, le rese per l’effetto compensativo del numero di piante sull’unità di superficie.
La profondità di semina, variabile con la dimensione del seme, può spingersi fino a 10 cm per i semi più grossi. L’epoca di semina, nelle regioni meridionali, coincide di solito con la seconda decade di novembre. Semine ritardate, fino alla prima metà del mese di dicembre, vengono consigliate per ridurre gli attacchi di orobanche. Negli ambienti settentrionali le semine primaverili devono essere effettuate abbastanza precocemente, verso la metà del mese di marzo.
L’irrigazione è sovente praticata per prevenire i danni dalla siccità. Tuttavia la risposta all’irrigazione si può risolvere in un eccesso negativo di sviluppo vegetativo con proliferazione di steli secondari sterili ed incremento dell’area fogliare che induce ombreggiamento delle foglie più basse; Se questa si rende necessaria, si consiglia di somministrare l’acqua quando è già iniziato il processo di fecondazione.

A cosa serve

La fava può essere una coltura da orto, di cui si raccolgono i baccelli verdi per utilizzare il seme allo stato fresco, od una coltura da pieno campo di cui si utilizzano i semi allo stato secco per l’alimentazione dell’uomo e degli animali. Può inoltre essere coltivata come foraggio sia fresco che secco.
Per l’elevato valore nutritivo degli steli e delle foglie, nello stadio di piena fioritura, favino e favetta in particolare, oltre a rappresentare una delle migliori piante da sovescio, entrno nella costituzione degli erbai autunno-vernino-primaverili in consociazione con veccia, avena, trifoglio alessandrino.
Nelle regioni mediterranee i semi macinati vengono utilizzati come concentrato per l’alimentazione del bestiame.
I semi allo stato fresco, soprattutto quelli privi di tannino delle varietà a fiori bianchi, sono oggi oggetto anche di processi di conservazione, preferibilmente mediante surgelazione.
Il suo impiego è quindi diversificato: per il consumo della granella, sia fresca che secca, per il bestiame come foraggio proteico ed anche come sovescio per il
mantenimento e incremento della fertilità del suolo.
Alla fava è conessa una patologia chiamata, favismo si tratta di una patologia su base genetica causata dal deficit funzionale o dalla carenza di un enzima: la glucosio-6-fosfato deidrogenasi.
Esso fa parte del gruppo delle varianti che genericamente vanno sotto il nome di glucosio-6-fosfato deidrogenasi deficienza.

Dove si coltiva

La fava risulta coltivata in tutto il mondo, I continenti maggiormente interessati alla coltivazione sono l’Asia, dove è localizzato circa il 60% della coltura e con prevalenza assoluta in Cina, l’Africa e l’Europa; trascurabile risulta la diffusione in America e nell’Oceania.
A livello nazionale nell’ultimo cinquantennio si è avuto un crollo delle superfici destinate a leguminose ad esempio per la fava si è passati da circa 500.000 ha a circa 50.000.
Le regioni italiane maggiormente interessate alla coltura sono quelle meridionali ed insulari e la Sicilia in particolare.
Dal confronto Italia - Sicilia in termini di superficie si può evidenziare come la Sicilia contribuisca in modo consistente ad esempio con circa il 30% per la fava da granella.
Considerando le importazioni queste risultano essere per la fava circa il 50%.

Raccolta e resa
La raccolta viene effettuata nella terza decade di giugno. Nel caso della fava di Leonforte si effettua una raccolta semi-meccanizzata (handmade) che consiste nel mietere le piante quando i semi si ritrovanoallo stadio ceroso, raccoglierle in andane, per lasciarle essiccare, per due settimane circa e nell’eseguire alla fine la trebbiatura. Nel caso delle altre varietà o ecotipi viene adottata la raccolta meccanica effettuando la trebbiatura allo stato secco (umidità al di sotto del 13%) con una mietitrebbia
simili a quelle del frumento duro però opportunamente modifica (numero di giri del battitore dimezzati rispetto a quella dei cereali, maggiore distanza tra battitore e controbattitore, utilizzo di crivelli con fori adeguatamente grandi adatti per il passaggio del seme). I semi selezionati vengono stoccati in silos in atmosfera modificata o sono trattati con polvere di diatomee. Molta cura dovrà essere dedicata alla fase di post-raccolta essendo la fava una delle leguminose più suscettibile alle avversità di diverso genere.
La raccolta, per le colture da seme da utilizzare allo stato fresco, viene effettuata per solito scalarmente, quando il baccello ha già raggiunto la dimensione che le è propria, ma i semi, pur essendosi sufficientemente accresciuti, sono ancora molto acquosi e teneri e non presentano consistenza apprezzabile. Questo stadio viene però superato rapidamente se intervengono condizioni di carenza idrica ed eccessi termici che affrettano la maturazione.
Per le colture da granella secca, la raccolta viene effettuata quando i baccelli sono di colore molto scuro, ma non molto secchi, per contenere la deiscenza ed i danni del tonchio.
La raccolta viene effettuata estirpando le piante o tagliandole al colletto e lasciandole quindi essiccare all’aria stese a terra e poi riunite in fasci.
La produzione di seme, a seconda delle varietà e nei diversi ambienti, oscilla da 10-15 fino a 30 q/ha di seme secco.

Avversità

Tra i parassiti animali della fava sono da ricordare: Aphis fabae (afide nero della fava) che attacca gli apici vegetativi e funge da vettore del virus del mosaico e Brucus rufimanus (tonchio della fava) che attacca i semi. Tra i parassiti vegetali emergono Uromyces fabae (ruggine), Botrytis fabae,  B. cinerea (muffa grigia), responsabili di attacchi assai gravi. Tra le malattie da virus sono segnalate diverse forme di mosaico.
Tra i più temibili nemici della fava è da segnalare, l’orobanche (Orobanche crenata o O. speciosa) una fanerogama emiparassita che attacca anche pisello, lenticchia, veccia, ecc. che può provocare la quasi completa distruzione della coltura. Essa costituisce una tra le cause più importanti del declino della fava in Italia ed in altri Paesi del bacino del Mediterraneo.
L’insidia di questo parassita deriva dal fatto che i relativi semi conservano la germinabilità in campo per un tempo assai lungo, addirittura fino a 13-14 anni. La germinazione dei semi non avviene al di sotto di 8 °C ; lo sviluppo del parassita è favorito dalla temperatura elevata e il grado d’infestazione a 25°C è il doppio che a 15°C. Il seme germina in prossimità delle radici di fava sotto lo stimolo di sostanze di crescita da queste escrete ed emette un austorio che penetra nelle radici dell’ospite. Una pianta di orobanche produce fino ad un centinaio di fiori, i frutti a forma di capsula, producono ciascuna da 300 a 400 semi, per un totale variabile da 50 mila a 500 mila per pianta.
Tra i mezzi di lotta consigliati nessuno si è finora rivelato efficace. Tra le più le moderne linee di ricerca emergono quelle rivolte allo studio degli iperparassiti della orobanche, tra i quali si ricordano un insetto: Phytomyza orobanchiae ed un fungo il Fusarium orobanches. Di rilevante interesse appare altresì la costituzione di tipi resistenti o tolleranti a questo insidioso nemico della fava.

Ricette

La fava si può consumare sia cotta che cruda. Cruda, si accompagna generalmente con del formaggio pecorino, pancetta o salame; cotta è usata invece per la preparazione di zuppe e minestre.
Insalata di fave, grano e verdure (pomodori, cetrioli, ravanelli): le proteine delle fave sono completate da quelle del grano che non contiene gli stessi amminoacidi. Gli ortaggi freschi completano l’apporto di micronutrimenti.
Tra i romani le fave ebbero un grande successo, tanto che venivano mangiate anche crude assieme al baccello quando erano particolarmente tenere; una delle famiglie più importanti della storia di Roma, cioè i Fabi, si dice che prese il proprio nome dalla fava.

Bibliografia
Coltivazioni Erbacee - Remigio Baldoni, Luigi Giardini. Pàtron Editore.
http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=27090
 http://www.martea.it/?Prodotti/Fava
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
http://www.fondation-louisbonduelle.org/

martedì 24 gennaio 2012

Pisello (Pisum sativum)


Pisello

(Pisum sativum L.)

Cos’è

Appartiene alla famiglia delle Papilionaceae (Leguminoseae), sezione Vicieae, genere Pisum.
Si tratta di un gustoso ortaggio molto usato in cucina che è quasi sempre presente negli orti familiari di tutta Italia, dalla pianura alla montagna.
Oggi ci sono due specie di pisello coltivato, una Pisum sativum L. con seme liscio o rugoso in genere grande, di colore verde o giallo a maturazione  completa e l’altra (P. arvense) con seme rotondo, liscio o con qualche leggera increspatura, di colore grigio usata come foraggera.
Da risultanze storiche,  il P. Sativum sorse probabilmente nel Medioevo con una mutazione a fiore bianco e seme grosso da forme coltivate di P. arvense.
Ulteriori mutazioni riguardorono poi la lunghezza del fusto, i baccelli teneri e di semi rugosi.
Il pisello si consumava secco, proprio come si fa con il fagiolo essiccato. Essendo ricco di proteine, esso costituiva per le popolazioni dell’Europa occidentale una risorsa molto importante per la stagione invernale, quando sono pochi i vegetali che si possono raccogliere.
Soltanto nel Medioevo si cominciò ad adoperarlo fresco, sgusciato e pare che siano stati gli Olandesi ad utilizzarlo per primi in questo modo.
Si tratta di una pianta erbacea annuale, alta da 20 a 150 cm o più.
Quando è piccola ha un aspetto cespuglioso dovuto a stipole e foglioline molto espanse.
L’apparato radicale è rappresentato da un fittone di sviluppo variabile a seconda della varietà, del tipo di terreno e delle condizioni climatiche.
Da esso si dipartono molto sottili le ramificazioni laterali. Ha germinazione ipogeica, i cotiledoni non fuoriescono come fanno invece il fagiolo e altre leguminose.
Il fusto è angoloso o rotondo, glabro di colore verde chiaro o verde azzurro, prostrato o eretto. L’andamento può essere dritto o a zig zag. Può ramificare in modo molto variabile a seconda delle varietà  alcune ramificano normalmente mentre altro lo fanno solo raramente.
La lunghezza degli internodi sotto al nodo sul quale compare il primo fiore, sembra essere strettamente correlata alla lunghezza del fusto, il che ha una validità diagnostica in relazione all’altezza della pianta.
In base all’altezza le varietà possono essere classificate in :
  1. nane
  2. seminane
  3. rampicanti.
Le foglie sono composto-pennate con due, tre o più paia di foglioline oltre ad altre trasformate in viticci. Le foglioline sonom ovali oblunnghe, con margine liscio più o meno ondulato, la terminale è sempre modificata in viticcio. Le foglie sono normalmente verdi di intensità diversa.
Il punto in cui la foglia si unisce al fusto si chiama nodo e l’angolo tra fusto e picciolo è chiamata ascella.
L’infiorescenza è ascellare, a racemo peduncolato con uno o due fiori che presentano piccole brattee o bratteole: si possono trovare anche tipi con 3-4 fiori. Non tutti i nodi presentano fiori.
Il fiore è vistoso, grande e bianco con 5 petali, il superiore chiamato stendardo che abbraccia i due laterali, chiamate ali, ed i due inferiori sono riuniti in basso a formare uno sperone (corona). Nella parte centrale dello stendardo ci può essere un mucrone più o meno allungato che ha importanza per la differenziazione della varietà.
Il frutto è un tipico legume costituito da un baccello di lunghezza e larghezza variabile, curvo o dritto, colore da verde giallastro a verde scuro, con estremità appuntite o ottuse. Può essere presente al suo interno una sottile membrana sclerenchimatica che a maturità, seccandosi, si contrae facendo aprire i baccelli la sua presenza, o meno, porta alla divisione dei piselli in tipi da sgusciare o mangiatutto.
I semi sono caratteristici per la forma, aspetto, e colore.
In base alla forma:
  1. a seme rotondo
  2. a seme ovale
  3. “    “     appiattito
  4. “    “     quadrato
  5. “     “    esagonale
in base all’aspetto (da secco):
  1. a seme liscio
  2. a seme grinzoso
in  base al colore:
  1. a seme verde
  2. a seme giallo
  3. a seme verde-giallo.

Ciclo biologico

La durata del ciclo biologico varia da due mesi e mezzo nelle cv. Nane precocissime, fino a 5 mesi in quelle rampicanti tardive.
Nel pisello come per le altre leguminose si considerano quattro fasi nel ciclo biologico:
  1. germinazione e affrancamento delle plantule
  2. sviluppo vegetativo
  3. sviluppo riproduttivo
  4. accumulo sostanza secca

germinazione e affrancamento delle plantule, in genere non vi sono difficoltà nella germinazione; essa avviene regolarmente anche se i cotiledoni sono in parte danneggiati purchè l’embrione sia intatto.
Sviluppo vegetativo, è una fase importante perché determina la quantità di sostanza secca prodotta. Per captare e sfruttare al massimo la radiazione solare la pianta deve affrettare il suo accrescimento iniziale, notoriamente lento, perché la differenziazione fogliare avviene con ritardo. L’area fogliare è un carattere importante ai fini della produzione di sostanza secca. Un’importante caratteristica dello sviluppo dell’area fogliare nel pisello e nelle altre leguminose da granella è che essa diminuisce nettamente quando inizia la fioritura. Questo si verifica soprattutto nei tipi determinati dove non si formano più foglie nuove mentre le vecchie cadonom velocemente, lo sviluppo vegetativo può durare da 40 a 60 giorni.
Sviluppo riproduttivo, è la fase più importante in relazione all’ottenimento di alte produzioni di seme. Il pisello può considerarsiuna pianta a giorno lungo o indifferente per cui l’emissione dei fiori non presenta particolari difficoltà.
L’antesi comincia dal basso verso l’alto ed inizia al mattino, s’arresta nella parte centrale del giorno e riprende nel pomeriggio per smettere all’imbrunire.
Contrariamente ad altre specie di leguminose come favino e medica, i fiori del pisello sono molto fertili e la colatura degli stessi poco importante. Questa può verificarsi però in caso di temperature troppo elevate in seguito ad un periodo prolungato di secco. In tale situazione si ha una arresto vegetativo di tutta la pianta. L’irrigazione può limitare questi inconvenienti, ma soltanto parzialmente.
L’accumulo della sostanza secca, avviene, per circa due terzi o più, dalla fioritura all’inizio dello sviluppo dei baccelli. Iniziata questa fase, l’aumento delle parti vegetative della pianta è molto modesto. Ciò significa che la sostanza secca prodotta dopo la fioritura è diretta verso i baccelli in via di sviluppo. La duarata dello sviluppo del seme varia molto con la localie quindi con i vari fattori climatici. In questa fase gli zuccheri in essi contenuti subiscono la trasformazione in amido, cellulosa, pectina influenzando il sapore e la consistenza del seme. Il processo, indipendentemente dal grado di maturazione, è più veloce ad alta temperatura.
Il pisello cresce i n coltura estensiva dal tropico del cancro fino al 40°-50° Lat. Nord. Può essere coltivato anche in Etiopia o America Centrale, ad altitutidini elevate.
Gradisce temperature variabili durante il ciclo vegetativo: in genere è seminato quando le temperature e la lunghezza del giorno sono in aumento, sebbene in certi casi (semine autunnali nel sud) venga anche coltivato con temperature in via di diminuzione.
Il pisello cresce bene con temperature variabili da 10 a 20 °C (lo zero di germinazione è a 4,4 °C) e si adatta in quelle regioni che possono offrire un periodo iniziale relativamente fresco: temperature elevate persistenti favoriscono una fioritura troppo precoce e poi una maturazione troppo veloce che influenza negativamente la qualità del prodotto. Soprattutto alla fioritura sono nefaste temperature troppo elevate in quanto fermano completamente la vegetazione. In genere però il pisello sfugge a questo rischio per la sua precocità di fioritura.
Gelate primaverili tardive con punte di 2-4 °C sotto lo zero possono danneggiare la pianta.   
Come tutte le leguminose teme il ristagno idrico e quindi si adatta male a terreni umidi, freddi e asfittici. Se il terreno non è troppo sciolto, l’umidità contenuta nel terreno alla semina è generalmente sufficiente per portare a termine la coltura.
Il pisello è coltivato nei terreni più diversi, ma preferisce quelli profondi, con discreta capacità idrica, leggeri e sani. Manifesta clorosi neri terreni calcarei dove vegeta con difficoltà e fornisce un prodotto dififcile da cuocere.
Il pH ottimale per i pisello è compreso tra 5,5-6.5, è una specie molto sensibile alla salinità del suolo.
È una coltura a ciclo breve, che specie nel caso sia coltivato per il seme fresco da destinare all’industria, può essere inserito nella successione come coltura intercalare vernino-primaverile.
Il pisello può anche essere utile per interrompere una successione intensiva di cereali o addirittura la monosuccessione di mais.
Dato che aumenta la fertilità del terreno per la presenza dei Rhizobium fissatori d’azoto (30-50 kg/ha) è opportuno farlo seguire da una coltura capace di trarne adeguato vantaggio. La cattiva struttura del terreno danneggia il pisello per cui non è bene farlo seguir a colture che abbiano richiesto per la raccolta o per altre operazioni, ripetuti passaggi di macchine pesanti.
Infezioni fungine e sviluppo di insetti possono verififcarsi quando il pisello succede troppe volte a se stesso.
I lavori preparatori del terreno iniziano con un aratura sui 30 cm, cioè poco profonda, eseguita in autunno o inverno. Si eseguono poi il minimo indispensabile di lavorazioni secondarie per interrare i concimi, rompere le zolle e preparare il letto di semina.
Concimazione e semina – il pisello è una pianta a ciclo breve, ha un apparato radicale con discreto sviluppo, assorbe una limitata quantità di elementi nutritivie, in più, è una leguminosa. Esso dunque risponde poco alla concimazione se coltivato in terreni sufficientemente fertili.
L’epoca di semina varia a seconda che il prodotto sia destinato al mercato o all’industria conserviera. Nel primo caso la scelta sarà fatta allo scopo di ottenere il prodotto nel momento in cui il prezzo è più elevato. In genere essa si effettua da settembre a dicembre nel meridione, da gennaio a febbraio nell’Italia centrale e un po’ più tardi nel nord.
Nelle colture da industria la semina si esegue a macchina, in file la cui distanza può variare per le cv. Nane a sviluppo determinato, da 18 a 22 cm. Può essere utilizzata la seminatrice da frumento. Se la distanza  tra le file è superiore si favorisce la concorrenza delle malerbe all’inizio del ciclo. File relativamente strette obbligano i fusti a raddrizzarsi ed a sostenersi l’un l’altro formando una massa di baccelli e fusti che si raccolgono meglio meccanicamente.
A seconda delle varie zone sono necessari da 100 a 130 semi per m2 per avere un investimento reale all’inizio della vegetazione di 70-90 piante assicurano un raccolto normale. A volte si possono avere nascite rade per attacchi di uccelli, lumache, insetti e anche malattie fungine.
La quantità di seme da impiegare varia da 160 a 210 kg per ettaro. Nelle colture da orto si può seminare a postarella o a file distanziate anche a 80 cm per le cv. Rampicanti e 30-40 cm per quelle nane o mezze nane. In questi casi si impiegano da 100 a 140 kg/ha di seme. Le cv. Rampicanti sono infrascate con canne o rami o reti di plastica. La profondità di semina a 3-4 cm permette di ridurre i danni da uccelli.
Lotta alle malerbe e altri interventi colturali – la lotta alle malerbe è indispensabile in quanto il pisello sopporta molto male la loro competizione. L’ombreggiamento riduce la fotosintesi nelle piante di pisello e favorisce le malattie.
La lotta può essere eseguita chimicamente e, in proposito, esiste una notevole gamma di soluzioni alternative.

Cultivar e miglioramento genetico

In Italia esiste un numero elevato di cultivar, molte diverse solo per ilnome oppure la località di provenienza.
Alcuni esempi:
ROVEJA (Pisum sativum ssp. Arvense): o rubiglio è un pisello selvatico ancora coltivato in piccoli appezzamenti che veniva utilizzato per la produzione di zuppe o per la preparazione di una particolare polenta chiamata “farecchiata”. La pianta, che si adatta a vivere in terreni argillosi ed umidi, è dotata anche di una buona resistenza al freddo, caratteristica che l’ha resa utilizzabile da parte delle popolazioni montane.
Nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga Fino a qualche decennio fa, nelle aree montane della regione, in particolare l’Alto Sangro e gli Altipiani
Maggiori, era coltivato una varietà di pisello, probabilmente da riferire a Pisum sativum subsp. elatius, conosciuto localmente come riveglie. I semi servivano sia per l’alimentazione del bestiame che per l’alimentazione umana. A Pescocostanzo un piatto ampiamente consumato d’inverno era costituito proprio da sagne e riveglie. Giuliani in un suo scritto inedito della seconda metà del XVIII, parlando
di Roccaraso e delle aree limitrofe, scriveva: “... e vi si coltiva una specie di legumi simili al pisello di un colore fusco cinereo detti con lingua patria Riveglie. Queste riveglie si seminano nel mese di Aprile, e vi si raccolgono nel mese di Agosto. Molto soddisfano alla povera gente, che costretta a star ritirata in casa per il freddo, e per le nevi ne fa di esse il maggior consumo nell’inverno...” (De Panfìlis, 1991).
Le riveglie oggi risultano completamente scomparse nelle aree classiche della loro
coltivazione. Stessa sorte è toccata ad altre leguminose da granella.
“Pisello Nano di Zollino” viene identificato un particolare ecotipo locale di pisello (Pisum sativum L.), coltivato da tempo inestimabile su territorio zollinese, che nel corso del tempo ha raggiunto un armonico equilibrio con le particolari condizioni climatiche e pedologiche di questo comune salentino. E’ proprio il raggiungimento di questo equilibrio, che ha consentito di esaltare le caratteristiche organolettiche e di cucinabilità di questo esclusivo ecotipo di pisello.
La situazione è diversa nel caso delle colture da industria dove in genere vengono utilizzate cv. Straniere (suggerite dall’industria stessa) il cui seme è prodotto per la maggior parte all’estero. Soprattutto per le colture industriali le cv. disponibili cambiano continuamente per cui la loro descrizione ha solo un significato contingente. In Francia sono state ottenute varietà invernali incrociando P. sativum x P. arvense.
Trattasi di specie a fecondazione autogama, malgrado i suoi fiori molto appariscenti  possano far pensare all’allogamia entomofila.
L’autogamia è molto stretta e a meno di mutazioni o di incroci accidentali la pianta può essere considerata omozigote.

A cosa serve

Soltanto nel Medioevo si cominciò ad adoperarlo fresco, sgusciato e pare che siano stati gli Olandesi ad utilizzarlo per primi in questo modo.
Negli ultimi decenni, la grande richiesta di vegetali in scatola e surgelati ha fatto sì che venissero via via selezionate cultivar in grado sia di mantenere la forma, il colore, il sapore e la consistenza dei piselli freschi sia di maturaren in stagioni differenti
Il valore alimentare come quello di altre leguminose deriva soprattutto dal contenuto elevato in proteine grezze e in misura più elevata dal buon equilibrio degli aminoacidi indispensabili conenuti nelle proteine stesse.

La composizione del seme fresco in media è la seguente: acqua 78,4 %

Proteine 6,3 %
Grassi 0,3 %
Zuccheri 12,3 %
Fibra 1,9 %
Ceneri 0,8 %
Nel seme secco (in % della sostanza secca) :
proteine 26 %
amido 67%
grassi 2 %
fibra 2 %
ceneri 3 %.
Per quanto riguarda le proteine, come per le altre leguminose presenta un decifit in aminoacidi solforati (metionina 0,8 % e cistina 1,5 %).
La qualità del seme può essere indicata anche in base al diametro secondo la classificazione UE.
Il seme fresco contiene anche vitamine E ed A e in misura minore B1, B2, PP, C.
Nelle ceneri sono presenti calcio, ferro e fosforo.
Il seme di pisello può essere utilizzato, allo stato fresco, per uso industriale (inscatolato o surgelato), secco, sgusciato e spezzato per zuppe o alimentazione del bestiame.
Oltre al seme vi è la possibilità di sfruttare anche il resto della pianta per l’alimentazione del bestiame.

Dove si coltiva

L’origine geografica del pisello probabilmente non è unica (Asia Minore, area mediterranea, Afghanistan) e pare che la coltura abbia avuto inizio in alcune zone dell’India settentrionale per poi giungere fino all’Europa. In Italia, le regioni in  cui la coltura è maggiormente diffusa sono: nel sud Campania, Puglia e Sicilia,
nel nord Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.

Raccolta e resa
Il prodotto per il mercato viene raccolto a mano, nel caso di cv. Rampicanti, mano a mano che ragigunge le caratteristiche volute dal consumatore: baccello turgido, e sem ancora in via di maturazaione.
Il momento della raccolta per uso industriale viene deciso a seguito di una determinazione effettuata con una apparecchio chiamato tenderometro, questo misura lo sforzo necessario per comprimere, schiacciare ed infine forzare il passaggio di un campione di piselli tra le due griglie. Su una scala legata all’apparecchio si possono ricavare i valori convenzionali del grado tenderometrico che variano da 50 a 200. ilgrado tenderometrico è fissato nel contratto tra l’agricoltore e l’industria e può influenzare il prezzo del prodotto.
Qualsiasi sia il metodo di raccolta il prodotto dev’essere manipolato con molta cura perché molto deperibile, delicato e si deve ridurre al minimo il tempo che intercorre tra la raccolta e la lavorazione: appena sgranato il seme dev’essere fatto giungere allo stabilimento o conservato a bassa temperatura.
La raccolta del seme secco si realizza con la mietitrebbia per cereali quando il seme arriva a maturità ed è sufficientemente secco (18-24%).
La produzione ottenibile è molto variabile: nel caso di coltura industriale con varietà precoci come media sui 25 q/ha di seme fresco, mentre per cv. A ciclo lungo, in media 30-40 q/ha. Anche nel caso del pisello da consumo fresco le produzioni possono variare da 90 e 120 q/ha di baccelli in caso di colture con sostegno.
La produzione di seme secco si aggira sui 20-30 q/ha.

Avversità

Antracnosi. È causata da tre diversi funghi: Asochyta pisi, Mycosphaerella pinodes e Ascochyta pinodella. Può causare perdite notevoli in stagioni particolarmente umide e può manifestarsi sia nella piantina che sulla pianta adulta. I sinotmi sulla pianta sono i seguenti: formazioni di strie nere  o purpureee sul fusto poste in modo preponderante ai nodi che s’allargano in amcchie sparse dalle radici fino a 20 e più centimetri sul fusto. Le macchie sulle foglie possono essere di eguale colore, piccole o grandi, irregolari o circolari e l’intera foglia può accortarciarsi e seccare. La malattia è trasmessa dal seme, ma il fungo può anche sopravvivere da una stagione all’altra nei residui in campo. La malattia si può controllare usando seme sano, la concia del seme ha un valore limitato dato che il micelio del fungo è all’interno. È bene sovesciare i residui in profondità e non coltivare il pisello su quell’appezzamento per almeno 3 anni.
Il Fusarium oxysporum pisi, fungo terricolo può causare marciumi delle piante.
Sintomi: ingiallimento delle foglie inferiori, crescita stentata ed arricciamento a doccia e piegatura verso il basso, specie con temperature elevate. Le piante attaccate dall’inizio possono morire o non produrrre seme, se l’infezione è tardiva si ha la produzione di baccelli mezzi vuoti. La malattia può essere controllata soltanto impiegando varietà resistenti che sono disponibili in commercio.
Marciumi dei germogli e delle piantine provocati da Pythium debaryanum e P. ultimum. la malattia si sviluppa maggiormente in semine precoci e con tempo freddo e umido. La concia del seme è utile per controllare questa patologia. Altre malattie da funghi sono le seguenti: Botrytys cinerea, Erysyphe polygoni, Septoria pisi, Uromyces pisi ecc.
Tra le batteriosi ricordiamo quella provocata da Pseudomonas pisi, i sintomi sono presenti su fusti, foglie e baccelli macchi slavate verde oliva o bruno-rossastre.  Le infezioni sui baccelli provocano lesioni a macchia d’olio con fuoriuscita di un liquido giallastro; i baccelli si imbruniscono, si spaccano e l’infezione si trasmette ai grani. Il batterio sopravvive durante l’inverno nel seme, il controllo può avvenire usando semi non infetti o mettendo la coltura in rotazione.
Tra i virus, citiamo il giallume apicale, il mosaico comune.
Tra gli insetti:
Acyrthosiphon pisum. È un afide che attacca foglie giovani, fiori e baccelli. Oltre ai danni diretti causati questo afide è un vettore di virus.
Laspeyresia nigricana. Tortricide dei semi di pisello. Vive allo stato di larva nei baccelli a spese dei semi senza che dall’esterno ci si renda conto dell’attacco. Le alrve nascono dalle uova deposte sui sepali. L’insetto sverna nel terreno.
Bruchus pisorum. È il coleottero che provoca i danni maggiori ed è certamente il pericolo più serio. L’insetto adulto depone le uova sui baccelli quando i semi sono immaturi. La larva uscita dall’uovo buca il seme, in via di formazione, e mangia l’interno. L’insetto può svernare da adulto dentro al seme ed uscire in primavera attraverso la galleria scavata dalla larva.    


Ricette 

 Bibliografia
Coltivazioni Erbacee - Remigio Baldoni, Luigi Giardini. Pàtron Editore.
Orto e dintorni- Il pisello nell'orto e in cucina. Terra Trentina 3/2009
Biotipico di Puglia. Le colture erbacee: leguminose. Linee guida per la coltivazione delle leguminose secondo il metodo dell'agricoltura biologica.